¨

La storia del tenore incavolato.

Può apparire bizzarro che un tenore di fama abbandoni la scena nel bel mezzo di una recita, alla Scala, lasciando il pubblico senza protagonista. In effetti un po' eccessivo lo è. Tuttavia queste vicende hanno fatto la storia dell'opera lirica e non sono più strambe dei capricci delle star di Hollywood, delle polemiche arbitrali nel calcio o delle storie scandalistiche di veline & C.

Il teatro d'opera ha due tipi di appassionati, spesso distinti. Ci sono gli appassionati di musica, spesso colti e rispettosi verso uno dei mestieri più ardui che esistano ovvero cantare a memoria su di un palcoscenico per qualche ora. L'appassionato va a teatro per sentire Verdi o Wagner o Strauss o Puccini; apprezza l'interpretazione ed anzi fa di ogni singola interpretazione un'occasione di arricchimento.

Il teatro d'opera, come il teatro, ha nell'interpretazione il suo momento di espressione più elevato. Possono esserci interpretazioni meno interessanti di altre, tuttavia fanno parte del modo e del mondo del sentire la musica, sentirla dentro di sé, interpretarla cioè. L'appassionato può anche uscire da teatro annoiato per una interpretazione banale, ma generalmente non si sogna di stroncare con giudizi pubblici l'altrui lavoro.

L'altro tipo di appassionato d'opera è invece il critico di professione o per diletto. Quando uno di questi si pone all'ascolto di qualunque cosa si trasforma in un censore, in un Beckmesser direbbero i wagneriani. Fin qui la cosa non sarebbe così drammatica: si sa che il giudizio e talvolta il pregiudizio sono quasi sport olimpici. Il punto è nel sondare quali siano i riferimenti di chi critica, e qui la cosa si fa interessante.

Fino a qualche anno fa' quando ancora le orchestre erano stabili davvero, i teatri avevano compagnie di canto solide e si facevano molte prove, i risultati ottenibili erano davvero straordinari. Herbert von Karajan poteva modellare una propria interpretazione lavorando per mesi, facendo infinite prove e contando su compagini di livello altissimo. Lo stesso dicasi delle grandi produzione della prima metà del novecento, spesso indicate dai critici come riferimenti irraggiungibili. Ora le cose sono cambiate. Oggi si deve montare una produzione con poche prove, talvolta pochissime, contando su compagnie di canto assortite a tavolino e su orchestre semistabili.

E' naturale che in questi contesti la qualità sia meno cristallina, è naturale che un cantante salga sul palcoscenico come meno sicurezze, è naturale che un direttore d'orchestra od un regista riescano a realizzare solo una parte delle loro intenzioni. Ma è anche naturale che il critico, professionale o dilettante, continui a fare il censore, perché privandolo di quel ruolo si rischia di far crollare il sostegno corporativo di tutta quella grande categoria dei critici censori professionisti o amatori, che comunque riempie i teatri e da' vita all'interesse extramusicale di cui si diceva all'inizio.

Senza di loro sarebbe come vedere il calcio senza le polemiche del lunedì. Fanno parte dello spettacolo. L'importante sarebbe avere la consapevolezza che l'appassionato critico, tutto sommato, non fa ne' danno ne tendenza, ma solo folclore.

Diverso è il discorso dei critici professionisti. Un musicista professionista non dovrebbe far troppo conto su queste voci autonome, nemmeno se portate da quotidiani autorevoli. Ovviamente ci sono fior di eccezioni, ma appunto, eccezioni.  La critica musicale italiana è oggi utile solo a se stessa e di questo ruolo marginale dovrà prima o poi farsene una ragione.

Dovrebbe cominciare a criticarsi per ritrovare quel ruolo centrale che le appartiene nella diffusione della cultura musicale. Il tenore fa bene a tornare sulla scena pur sapendo che sarà accolto da rumori e fischi. Cerchi allora di calarsi interamente nella parte: è Radames, condottiero egizio, e dovrà affrontare gli etiopi. Cosa vuoi che siano una ventina di loggionisti?

Gremus

Gremus
La passione per la Grande Musica,
online dal 2007.