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Cocaina e Hardy Management

Lessico introduttivo: la cocaina è una droga e lo continuerà ad essere anche quando dovesse essere inclusa nel paniere delle rilevazioni Istat. La sua diffusione è ormai endemica: la usano politici, chirurghi, soubrette, imprenditori, manager e quasi (l'eccezione c'è sempre) tutti quelli che ci vogliono far passare per abnegazione al lavoro un ritmo di vita da tre ore di sonno a notte.

Certo, dipende da ciò che si fa nella veglia, ma se questa è frenetica l'aiutino è probabile.
L'HardyManagement è invece una delle tante tecniche di controllo delle proprie capacità qualora si sia sottoposti a carichi elevati di stress, come ad esempio lavorare talmente tanto da non aver tempo di dormire più di tre ore per notte.

Quelle tre ore di sonno sono il "fil rouge" che avvicina il micro-macrocosmo dei cocainomani a quello degli Hard Manager, un filo che fa scorrere teorie e polverine bianche da un estremo all'altro.

La teoria dell'HardyManagement sembra, come spesso accade, l'uovo di colombo: se il tuo lavoro di costringere ad operare sotto stress cerca di imboccare una via di "Wellness management", cioè impara ad individuare l'equilibrio tra pressioni e benessere. Che detto così sembra una barzelletta della settimana enigmistica: lascia indifferenti.
Ad un livello più approfondito si comincia ad intravedere il metodo che sta dietro questa teoria.

E' necessario addestrarsi ad avere un elevato livello di "commitment" cioè di responsabilità e senso dello scopo nelle cose che si affrontano. In pratica significa appassionarsi emotivamente a ciò che si fa comprendendone il senso finalistico. Fin qui va bene, anzi sarebbe auspicabile che così fosse per tutti.

Poi è importante mantenere un forte controllo sul proprio destino, rimanendo vigili sugli eventi esterni che possono influenzarlo e non lasciando spazio al caso. Si da comunque il caso che "il caso" faccia la sua parte e si prenda lo spazio che rimane dopo il controllo, saturandolo completamente. E non è detto che il caso sia sempre sfavorevole. La filosofia del massimo controllo su tutto è propedeutica al tiraggio di naso. La teoria comincia a divorare se stessa.

Ma l'ultima condizione posta dai teorici del Wellness management corregge il tiro della seconda perché va a parare nella capacità di "challenge", che nelle accezioni di coraggio e di sfida va proprio a dichiarare guerra al caso.

Le tre C, Commitment, Control e Challenge hanno a che fare col caso più di quanto i teorici vogliano ammettere. E' spesso un semplice caso che uno si ritrovi nel proprio bagaglio manageriale e psicologico tutte e tre le capacità.

Appassionarsi a ciò che si sta facendo è facile se il lavoro è appassionante e se incontra la sensibilità del lavoratore. Laddove le circostanze siano meno favorevoli è più impegnativo ma nel complesso questa è la capacità dove la forza di volontà ed il senso di responsabilità possono davvero far molto.

Controllare e controllarsi invece è una vera sfida, la quale prevede una grande propensione al Challenge, il quale però è rischioso senza Control. Ed ecco il guazzabuglio.

Ciò che accomuna moltissime moderne teorie sul management è il non prevedere nemmeno lontanamente che sia proprio l'atteggiamento verso il lavoro a dover essere in parte rimodulato.
Il Wellness management non dice nulla sull'effettiva necessità che il lavoro, anche il più responsabilizzante, debba assumere sembianze Hard. Così, come conseguenza di questa necessità di rincorrere ritmi disumani, nella pressoché inefficienza di trovare beneficio da teorie più o meno applicabili, ecco che una spaventosa quantità di uomini e donne cosiddetti "impegnati" ricorre agli stupefacenti, soluzione non teorizzata dai manuali di Wellness management, ma ahimè, molto diffusa.

Il punto è chiedersi: tutto ciò che sto facendo nelle mie giornate è funzionale allo scopo che mi sono previsto? Ed è bene porsi questa domanda individuando attentamente le gerarchie che regolano gli scopi esistenziali: c'è uno scopo dell'esistenza, uno del lavoro, uno della mansione, uno del progetto, e uno dietro a ciascuna azione.

Quanto del fare quotidiano è strettamente legato ad uno scopo e quanto invece prodotto proprio da quel caso che si vuole controllare a tutti i costi?
Spesso si sovrastima il rischio del caso e si sottostima il lavoro necessario per dribblare il caso stesso.

Gli artisti, in questo senso, applicano in maniera molto più corretta la disciplina del Wellness, pur non negando che qualche canna se la sparino lo stesso per diletto.
Un artista, pittore, scrittore, musicista, o altro, è di norma appassionato a ciò che fa, grazie anche alla vicinanza con l'arte e l'espressività più intima.
Un artistica vede davanti a se un obbiettivo netto, il quale può mutare nella sostanza, talvolta anche nella forma, ma non nel legame che ha con l'obbiettivo espressivo che guida il lavoro sin dall'inizio. Il senso dello scopo è perciò perfettamente applicato.
Il tormento dell'artista non sta mai nel controllo del caso ma nel dominio della materia e del proprio estro. Il caso non esiste mai nella mente dell'artista semplicemente perché imprevedibile ed ineluttabile.
Se ad un violinista si rompe una corda mentre esegue un concerto pubblico è un caso da affrontarsi da lì in poi. Nessun violinista si preoccupa di prevedere una variante del concerto per tre corde invece che per quattro corde. Sarebbe un delirio.

Invece nel mondo del lavoro spesso si progettano giornate e soluzioni che dovrebbero essere a prova di caso e invece generano ulteriore stress e lavoro allorché si rivelano perfettamente vulnerabili.

Ovviamente le origini dello stress sono anche da ritrovarsi in ambizioni sfrenate, rincorse di successo per lo più non raggiunto e comunque effimero, convinzione che "trottando" molto ne benefici il business, benché invece le teorie del management ci dicono, questa volta correttamente, che i buoni rendimenti sono proporzionali alla qualità del "trottare" e non alla quantità.

Del Wellness management terrei buono il primo principio, cioè quello che vuole la responsabilità, la passione ed il senso dello scopo al centro del lavoro di ciascuno, sopravanzando anche le priorità dello "scheduling" che senza responsabilità diventano spesso reti bucate.

Vivere con responsabilità ciò che si fa è molto importante, così come lo è responsabilizzare i propri collaboratori. Ma spesso in Italia siamo ancora al dover mutare dall'ottica del "subordinato" all'ottica del "collaboratore"; figuriamoci quanto lontano stia la responsabilizzazione!

Sposare il principio di responsabilità è comunque un modo per imparare ad esercitare la stessa filosofia all'intera vita, fatta di lavoro ma anche ti interessi, di famiglia, di percorsi e soddisfazioni complementari alla vita lavorativa.

Se un lavoratore è costretto a diventare un cocainomane per reggere il ritmo che lui stesso si è imposto è il ritmo che deve essere modulato e non c'è tecnica di management che possa evitarlo.

Gremus

Gremus
La passione per la Grande Musica,
online dal 2007.