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Storia di Bimba

Quando si è presentata nella casa di campagna, sulle colline di San Colombano, era più coda che corpo. Tutta bianca. Alta una spanna, e complessivamente dalla punta del naso alla fine della coda - era un cucciolo - non era più lunga di mezzo metro: la metà era coda e quando la agitava questa era talmente lunga che, puntate le zampe posteriori, la parte anteriore del corpo doveva ondeggiare anch’essa per fare da contrappeso al movimento.

Bimba, così l’abbiamo chiamata più tardi, non aveva padrone, non aveva la faccia da randagio, non era disperata e, sorprendentemente, pareva non chiedere nulla a nessuno.

Chi si sarebbe preso cura di questo grazioso cagnolino? Non potevamo certo portarlo in appartamento in città. Non eravamo mentalmente preparati.
Consulti febbrili con tutti i vicini. Il dirimpettaio, la signora Angela, decise di dare ospitalità a Bimba. Ma verso le cinque del pomeriggio improvvisamente Bimba sparì. Come ogni domenica sera tornammo a Milano.

La settimana passava. Mio padre - aveva raggiunto la pensione - durante le giornate lavorative faceva un paio di scappate per curare la piccola vigna che circondava la casa. Da marzo a fine agosto la vigna è come un figlio: bisogna accudirla, proteggerla, ritoccarne gli eccessi, curarne le parti deboli, dissetarla se necessario, sorreggerne le iniziative. Lavoro assolutamente non facile e faticoso.

Notizie di Bimba? Nessuna!
La domenica successiva ci si ritrovò tutti in collina, con amici e qualche parente. Questo accadeva quasi tutti i fine settimana primaverili ed estivi. A metà mattina arrivò anche un’ospite particolarmente festeggiato: Bimba.

Era cresciuta, poco, ma in maniera apprezzabile. Soprattutto la coda, sempre più lunga e buffa. Pur essendo un cucciolo aveva una dignità nei comportamenti del tutto evidente. Ho visto cani reagire alle attenzioni degli uomini con latrati, abbaiate assordanti, incontinenze ed assalti, anche se festanti. Bimba scodinzolava enormemente, si concedeva con moderato piacere alle effusioni carezzevoli, cercando di dividere il proprio tempo in parti uguali fra i presenti.

La domenica trascorse serena con la compagnia di Bimba che si fermò fino a sera con noi. Non solo. Accettò l’ospitalità della signora Angela e rimase in zona per altri due giorni. Ma con un comportamento particolare: sembrava che analizzasse con perizia tutte le particolarità del territorio, le buche, gli alberi, i pozzi ed il resto. L’analisi procedeva per gradi spostandosi progressivamente verso le zone più lontane, come se conquistasse nuove zolle di territorio. Per riposarsi si infilava in un passaggio al di sotto della rete metallica che delimita la nostra vigna. Si adagiava appena al di qua della siepe, vicino al cancello. Da lì si domina tutta la vigna, la casetta ma anche, attraverso il cancello, la strada sterrata e la casa dei dirimpettai. Non era all’ombra. Bimba non ha mai amato ne’ il freddo ne’ l’acqua. Preferiva il sole e in questo condividevo in pieno la scelta.

Dopo tre giorni esatti, il mercoledì sera, se ne andò ancora una volta, improvvisamente. Questo rituale si protrasse per quasi tre mesi, da giugno a fine agosto anche se, a onor del vero, i periodi di permanenza nella nostra zona si allungavano sempre più. Di mezza giornata in mezza giornata arrivò al punto che giungeva la domenica mattina e se ne andava il venerdì sera.

Poi dai primi di settembre si stabilì.
Aveva scelto. Sono sicuro. Si era scelta i padroni o forse, più semplicemente, il ristorante. C’era poi un particolare che non passò inosservato. La sua scelta era ricaduta su di una situazione dove la presenza umana era ai limiti minimi. La sua zona abitativa di preferenza era sicuramente la vigna; la signora Angela gestiva il ristorante e l’ufficio emergenze. Era una scelta emancipata e libertaria. Non anarchica! Si sottomise senza problemi alle poche regole di convivenza dettate dal buonsenso. Semplicemente prendeva dagli uomini ciò di cui aveva bisogno.
In questo modo, moderato e sereno trascorse l’autunno, l’inverno e anche altri due anni.

Col tempo aveva allargato la propria zona fino ad includere un buon quarto della collina, dal bosco in fondo alla piccola valle a nord, fino alla strada asfaltata che ne delimitava le pendici a est.
Era il suo territorio che con gli anni conobbe alla perfezione.

Durante una passeggiata estiva, quando Bimba aveva ormai tre anni, mi inoltrai nel bosco in compagnia sua e di amici; Un bosco di rubinie, pioppi, platani, salici e molti rovi. Lo attraversammo completamente fino a ritrovarci su di un viottolo che lo delimitava. Al di là di questo si ergeva un’altra collina, dove era stato allestito un mini campo pratica di golf non cintato e sempre vuoto.

Decidemmo di addentrarci. Bimba non ne volle sapere. Si impuntò sul lato del viottolo che dava sul bosco e si acquietò. I nostri ripetuti inviti a seguirci furono vani. Lì per lì fummo sorpresi. In realtà le stavamo chiedendo di uscire dal suo territorio. E glielo stavamo chiedendo con la prepotenza di chi crede di poter indicare la via a chiunque. Bimba aveva bisogno dei suoi tempi per scoprire il mondo. E lo voleva scoprire da sola. Noi proseguimmo. Lei si sedette ad aspettarci. Ma ci seguì con lo sguardo.

***

In una fredda ma assolata domenica marzolina un turbine a quattro zampe entrò dal nostro cancello con furia equestre. Doveva essere un incrocio fra un danese e un setter. Maculato bianco e nero, pelo raso, gambe lunghissime da antilope. Correva eccitatissimo fra tutte le persone che gli si presentavano allo sguardo. Salti di gioia, abbaiate, assalti con leccate in faccia. Era sicuramente un cane con padrone, forse cittadino. Prima o poi sarebbe sbucato qualcuno gridando al quadrupede - vieni qui, ma cosa fai, non fare lo stupido, a cuccia.

Bimba osservava tutto dal suo posto di relax, con aria di sufficienza.
Rimasi sorpreso quando vidi entrare dal cancello la signora Angela.
-Pippo, Pippo, Pippo.- sembrava che lo rincorresse da mezz’ora
- Scusatemi tanto - disse - Più lo chiamo e più scappa. Eppure mi hanno assicurato che si chiama Pippo -
Ma chi è il padrone - chiesi
No è mio! E’ mio adesso - rispose la signora Angela - Un amico di famiglia, che abita a Lodi in appartamento, mi ha chiesto di adottarlo, perché sa.... io non capisco come si faccia a prendere un cane così grande per tenerlo chiuso in casa. E poi mi ha detto che non è riuscito ad insegnarli nulla. Quando lo chiama non risponde e combina un macello dopo l’altro...
Pippo, Pippo - gridava con sempre maggior forza

All’opera educativa di Pippo cominciammo a collaborare un po’ tutti. In fondo era un cane simpatico e la sua indisciplina non era rivoluzionaria ma semplicemente infantile. Era un cane giovane. Non avrà avuto più di tre anni. Però era assolutamente refrattario a qualunque ordine gli si imponesse. Non solo quelli rivolti dagli umani, ma pareva persino che non partecipasse al dialogo nemmeno fra simili.

Una volta, spostandomi in macchina nel terribile traffico milanese, fui attratto da una scena singolare e comica. In una piccola automobile erano stipati, in maniera assolutamente ordinata, tre cani pastore e il guidatore. Tutti compostamente seduti. Due cani dietro e uno nel posto del passeggero davanti. La cosa comica, ma interessantissima, fu osservare i tre cani muovere le loro teste come se fossero perfettamente sincronizzate. Qualunque rumore, o suono o segnale attraeva l’attenzione dei tre animali in maniera perfettamente coordinata. Era la prova che l’istinto, a parità di mezzi percettivi, regola in larga parte le reazioni.

Unica eccezione a questa regola: Pippo. Quando Bimba si voltava da una parte perché attratta da un rumore, Pippo si voltava dall’altra. Quando Bimba abbaiava Pippo dormiva. Pippo era forse un asociale?

Un giorno Bimba e Pippo stavano dormicchiando nel solito posto già prescelto da Bimba per il relax: vicino al nostro cancello. Lei al sole, lui all’ombra delle automobili che parcheggiavamo lì a fianco.
Mia madre aveva deciso di spolverare gli interni della macchina. Per sbaglio premette sul comando del clacson il quale risuonò come uno squillo a pochi centimetri dalle orecchie dei cani in abbiocco. Bimba fece un salto e scappo via terrorizzata. Pippo come se niente fosse.

Qualcosa non quadrava. E se Pippo fosse sordo, completamente sordo!
Ma certo ora si chiariva tutto. Un cane sordo come una campana.
Per forza non reagiva ai richiami: non li sentiva!
La cosa assunse per tutti una valenza simile a quella di una scoperta scientifica. Ora si sapeva qual’era il problema di Pippo.

La questione era individuare il modo di comunicare con questo essere privo dell’uditivo.
Ognuno si creò un proprio mezzo di comunicazione. La signora Angela si procurò un lunghissimo frustino che gli permetteva di richiamarlo fino a cinque metri di distanza. Mio padre quando lo doveva richiamare raccoglieva un minuscolo sassolino e glielo tirava. In breve tempo maturò una mira da olimpionico. Fu il sistema più efficace ed imitato.
Anche Bimba si scelse un metodo. Il metodo dello struscio. Gli stava sempre appiccicata. Risultato: Bimba rimase incinta.

***

Se già non lo fosse stata abbastanza, quando Bimba era incinta, diventava seria, pacata ed affettuosa.
In particolare con mio padre. Del resto, della nostra famiglia, era il più presente dato che veniva in collina almeno due o tre volte la settimana. Bimba era diventata la sua vedetta. Dove andava lui lei lo seguiva. Unico limite era la soglia della casetta. Accesso vietato. Mio padre ricambiava l’affetto a suo modo. Qualunque cosa mio padre mangiasse ne riservava la metà per Bimba. Arrivò ad acquistare due etti di prosciutto, due panini, due bistecche e via dicendo.
-Bimba è incinta - diceva lui - e perciò deve mangiare doppio.

Comunque l’affetto per mio padre fu un affetto solido e duraturo. Da lì in poi Bimba ebbe per lui un riguardo maggiore che per chiunque altro.
Era un affetto maturato in una piena libertà, senza vincoli di subordinazione. Non era mio padre che aveva scelto un cane, ma era più verosimile il contrario. E Bimba poteva tirarsi indietro quando voleva.
Di lì a poco Bimba ebbe quattro cuccioli. Uno più bello dell’altro. Coda lunga, gambe lunghe, due bianchi, uno nero e uno maculato. Tutti ci sentivano perfettamente.

Bimba era una madre premurosa, affettuosa ma non aggressiva verso chi toccava o prendeva i cuccioli.
L’unico che sembrava non essersi accorto di nulla era Pippo.
In effetti Pippo cominciò a destare qualche preoccupazione. Non era solo la sordità che ne caratterizzava il comportamento. Era anche una certa indisciplina sempre più invadente. Entrava in casa con fare vandalico, rincorreva le persone, cominciava a distruggere senza scrupolo tutto ciò che gli capitava a tiro.
Bimba non amava che si avvicinasse ai cuccioli: con molta calma lo spingeva lontano.

Un giorno pare che Pippo abbia inseguito una signora in bicicletta abbaiando forsennatamente. Non credo avesse intenzioni cattive.
La domenica dopo al nostro arrivo, Bimba venne subito a salutarci. Noi andammo a trovare i cuccioli. Arrivò il pomeriggio. Improvvisamente, ci accorgemmo che Pippo non si era ancora visto. Benché invadente faceva ormai parte del clan e di solito era sempre passato a raccogliere un po’ di coccole.
Più tardi mia madre, per caso, incontrò la signora Angela.
Le chiese - dov’è Pippo?
-L’ha portato giù in paese mio marito. era un cane scemo - disse la signora Angela. Pippo non "era" più. Dicono che sia la legge della campagna. Sarà...

Non vedemmo crescere i cuccioli di Bimba. Furono dati via molto piccoli. Solo uno, Billi, fu regalato ad un vicino, anche lui cittadino e anche lui campagnolo della domenica. E Billi diventò un cane cittadino, un po’ pauroso, e un po’ annoiato.
Con Bimba andò sempre molto d’accordo. Giocavano, ed era evidente come il divertimento maggiore fosse per Billi. Bimba ogni tanto sembrava volerlo convincere a seguirla in uno dei giri solitari nel suo territorio. Billi la seguiva un po’, ma solo fino a dove poteva vedere la casa del padrone o almeno l’alto parafulmine della casa della signora Angela.
Bimba non ci badava. Continuava per la sua strada e tornava un’oretta dopo.

Un giorno volli seguirla. Lei passeggiava lentamente e quando decideva di andare per i fatti suoi il seguirla non modificava i suoi progetti.
Attraversò il bosco. Arrivò sul viottolo, lo oltrepassò. E comincio a risalire quel campo di golf che anni prima non aveva voluto affrontare. Lo percorreva come chi già ne conoscesse i sentieri. Proseguì salendo verso il punto più alto della collina. Attraversò una vigna non recintata. Si inerpicò lentamente fino alla cima più elevata. Fece ancora una decina di metri, poi un balzo su di un muretto e li si sedette. Io ero un po’ indietro e la stavo raggiungendo.
Non ero mai stato in quella zona perché non avevo mai voluto attraversare quella vigna, benché non cintata. La raggiunsi. Mi posi dietro di lei. Guardai al di là del muretto nella stessa direzione dove Bimba puntava serena lo sguardo, senza badare a me. Era maggio, una giornata di sole, alle tre del pomeriggio, un poco di vento. La vista mi tolse il respiro. Si dominava tutto il piacentino, a destra le alpi liguri, il Po, i castelli di Chignolo, le colline della Versa. A sinistra l’orizzonte si perdeva lungo la pianura padana. Da lì in alto la pianura era bellissima.

E’ da quella volta che cominciai a pensare Bimba come un essere libero e superiore e felice. Felice perché la vedevo libera, libera di scegliere, libera di amare, libera di essere come voleva essere. Superiore perché quell'esistenza lei se l'era scelta. Da sola. E scegliersi un’esistenza, pur essendo un cane, credo sia molto più complicato che per un umano.

***

Black fu un nuovo ospite della signora Angela. Un miscuglio fra un pastore tedesco e qualche altra razza mai individuata con certezza.
Preso al canile era il tipico cane scioccato da qualche esperienza giovanile. Aveva delle vere e proprie idiosincrasie. Le macchine in movimento, le biciclette in movimento, tutti i mezzi in movimento erano per lui un affare personale. Cominciava ad abbaiare appena li scorgeva o li sentiva, all’inizio del sentiero, proseguendo fino a quando uscivano dalla sua vista. Le macchine poi le inseguiva, ma dal davanti. Nel senso che si poneva in fronte con fare minaccioso e poi, a marcia indietro, continuava la sua opera dissuasoria, a qualunque velocità. Descritto così poteva sembrare un cane minaccioso. Macché. Era un cane timido e mansueto soprattutto con i bambini. E con i cuccioli. Con Bimba ne fece due infornate successive.

I cuccioli comunque rimanevano a disposizione dei genitori due o tre mesi al massimo. Poi venivano dati via, inesorabilmente. A parte uno: Dick. Faceva parte della seconda cucciolata. Sembrava quasi che sia Bimba che Black avessero un particolare affetto per quel cucciolo. Continuavano a leccarlo, a coccolarlo, a giocarci insieme.
La signora Angela decise di trattenerlo.

Da quando Dick raggiunse l’autonomia negli spostamenti si muovevano sempre in tre, mangiavano insieme, dormivano uno sopra l’altro, prendevano le coccole insieme. La domenica si aggregava Billi che familiarizzò rapidamente con il cucciolo. Mio padre dovette aumentare la sua spesa per le merende in compagnia del trittico. Non litigarono mai per il cibo. Anzi, Bimba qualche volta si sacrificava alla voracità del cucciolo.

Black, com’era inevitabile, insegnò agli altri due la tecnica dell’abbordaggio alle automobili. Solo che lui era specialista e rimase sempre ineguagliabile. Dick si poneva al lato della macchina e Bimba, con fare più tranquillo, quasi con rassegnata compiacenza, rincorreva scodinzolando da dietro.
Qualche automobilista ignaro del rito ogni tanto rimaneva bloccato e anche un po’ impaurito. Il fatto è che non appena il mezzo si bloccava i cani smettevano come per automatismo. Si poteva uscire dall’auto senza che i cani badassero a lui, anzi, ricevendo pure le feste. Ma non appena il mezzo si muoveva...

Era un trittico da ritratto. Dick seguiva le passeggiate di Bimba che lo portò, sin dai primi mesi, alla terrazza belvedere.
Black li seguiva fino a un certo punto. La libertà è un bene che diventa sempre più difficile da conquistare a mano a mano che l’età cresce.
E’ per questo che Bimba volle subito educare a tale ricerca il piccolo Dick.
E Dick era un allievo perfetto.

***

Un sabato settembrino mio padre era a fare dei lavori in vigna. Nella sua parte superiore, la vigna si avvicinava al cancello ed al posto prescelto da Bimba per il riposo.
Erano le quattro del pomeriggio. Una bella giornata con il sole tiepido e un pizzico di brezza.
Il cielo terso.
Bimba non abbaiava mai per richiamare qualcuno. Si avvicinava quieta e toccava con il muso le gambe della persona.
Mio padre sentì abbaiare flebilmente da dietro. Veniva dal cancello.
Si girò e vide Bimba, nel suo posto di riposo accasciata scompostamente.
Capì subito che qualcosa non andava. Corse verso la cancellata. Anche la signora Angela, che aveva sentito l’abbaiata strana, arrivò.

Bimba stava male. Chiamarono subito il veterinario. Mio padre gli portò istintivamente una ciotola di latte. Voleva fare qualcosa ma non sapeva cosa. Intanto continuava ad accarezzarla. Smise per un istante. Bimba sollevò leggermente la testa. Voleva le sue carezze.
Il veterinario arrivò. Pochi minuti. La diagnosi. Avvelenamento. Una polpetta avvelenata. Ma come una polpetta avvelenata? Come è possibile?

Per caso mio padre alzò lo sguardo a sinistra, dietro la rete di cinta. C’era Black in piedi, impietrito. Osservava la scena. Passò una macchina. Black non si mosse. Bimba spirò alle cinque del pomeriggio. Per una polpetta avvelenata.

Dopo poco ci si rese conto che Dick non c’era. Dov’era il piccolo Dick?
Mio padre, la signora Angela e il figlio cominciarono a cercare. Niente.
Le giornate a settembre sono più corte e dopo poco viene l’oscurità.
Le ricerche dovettero essere interrotte.

Il giorno dopo ci ritrovammo li. Sapevamo già tutto perché mio padre ci aveva informato.
Proseguimmo le ricerche.
Ma io sapevo dov’era.
Andai verso il bosco, lo attraversai e così feci anche per il campo di golf, la vigna non cintata, fino alla terrazza belvedere di Bimba. Mi guardai intorno. Sulla sinistra iniziava una discesa boschiva che conduce ad una valle al di la’ della quale c’era la collina più alta fra tutte. Mi addentrai un poco. Vidi un punto nel quale si concentrava una nuvola di moscerini e mosche. Mi avvicinai. Lì vicino una zolla con dei bocconi rossi carnei. Un cartellino sporgeva. “Esca per volpi”. A due metri c’era Dick a terra. Stecchito.
Non toccai nulla. Ritornai alla terrazza e mi appoggiai al muretto.

Bimba si era decisa a conquistare la vetta più alta del suo mondo. Aveva portato con se’ il cucciolo prediletto. Voleva insegnargli che la libertà più grande è una curiosità e una fiducia nel futuro senza confini.

Costi quel che costi.

Non dimenticherò mai Bimba!

Gremus

Gremus
La passione per la Grande Musica,
online dal 2007.