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Tra nascita e morte una vita da vivere

Per uno di quegli strani cortocircuiti dello spazio-tempo, a tre giorni dal Natale i crocchi di mezza Italia bisbigliano pensieri sulla morte, sull'attenderla o allontanarla, cercarla od esorcizzarla.
Suona strano, un po' come per quel complesso lombardo che a pochi giorni dal Natale ha deciso, per tradizione forse scaramantica, di eseguire il Requiem più celebre, quello di Mozart, inedito per morte sopravvenuta.

La nascita è complementare alla morte, si dice, ma tra l'una e l'altra rimane la vita che è tale fino all'ultimo respiro, naturale o artificiale che sia. Della vita non si parla mai, o almeno, non se ne parla come se ne fa per nascita e morte. Se ne parla dividendola in piccolissime e pulviscolari porzioni: la crescita, gli studi, l'adolescenza, gli amori, le relazioni, l'essere, il non essere, la fede, il dolore, la passione il ridere o il piangere, la felicità o la sofferenza, il possesso o meno della vita stessa.
E anche queste porzioni sono ancora troppo grandi e vengono divise in frammenti sempre più piccoli: il dolore fisico, quello morale, quello da sopportare come prova, quello da evitare dal dentista, il dolore del parto e della morte dei propri cari, il dolore dei calli e quello della noia.
E poi si entra nel soggettivo, nello spazio-tempo di un individuo, nell'oggi, nell'ora, nell'istante.

Eppure la vita potrebbe anche essere considerata nel suo insieme, dalla nascita alla morte appunto, nel suo essere momento irripetibile e unico, piccolissimo nella storia dell'uomo, trascurabile nell'economia generale dell'universo.
Perché della vita non se ne parla come fatto ineluttabile, ugualmente alla morte?
Perché l'uomo deve prepararsi alla morte accettandola, attendendola, meditandola e invece non deve fare lo stesso per la vita?

Nella vita e solo nella vita esiste la chiave per comprendere il senso della nascita e della morte.
Ho avuto modo di conoscere persone che hanno vissuto mille vite in una, che hanno profuso tutte le loro energie vitali nella vita, onorandola ma consumandola, lasciando una traccia di sé ma permettendo che gli altri la lasciassero in loro stessi.
Un nome a caso: "Leonard Bernstein" il celebre musicista e direttore d'orchestra. Quando lo si vedeva camminare sembrava un "buco nero" di vita, di dove tutto entrava come attratto da potente magnetismo. E la sua vicinanza contagiava, come il suo sorriso, la sua profondità.

Troppo spesso della vita si sublima la sofferenza ma si dimentica di sublimare in maniera altrettanto decisa la gioia, l'amore umano, il cercare la vita esaltante, fatta di presenza e partecipazione, di tolleranza e comprensione, di meditazione ma anche di spensieratezza.
Troppo spesso si da per scontato il poter correre, ridere, vedere con i propri occhi le meraviglie della natura, sentire ciò che gli uomini hanno saputo creare con sette note, abbandonarsi al profumo di chi si ama.

Tutto ciò è vita e tutto ciò da un senso anche alla morte, esistente perché la magnifica esperienza della vita possa essere vissuta da più esseri viventi possibile.
Vivere per vivere, insomma, lasciando che la morte regoli l'alternanza e la legge dell'esistenza.

Della vita si dovrebbe parlare di più affinché alle strazianti scelte di cercare la morte si possa rispondere in termini di esaltazione della vita, piuttosto che di possesso della vita stessa.
Chi cerca la morte ha perso la bussola della vita e non ha un gran senso farne un problema etico.

Poi vi è chi della vita ha perso la stragrande maggioranza delle potenzialità, che si ritrova in un letto senza poter muoversi, parlare, amare, ridere o piangere, senza nemmeno poter controllare il proprio respiro. Per loro la vita è guardare il soffitto bianco, per anni, notte e giorno.

E' in questi casi che la compassione per un tragico desiderio potrebbe anche prevalere.

Gremus

Gremus
La passione per la Grande Musica,
online dal 2007.