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La forza della musica

Sto cercando di trovare spunti per definire quale sia la forza della musica. Ma che c'entrano Daniel Barenboin, i Nirvana e la Carmen? Be', si parla di musica per cui un nesso sicuro c'è. Barenboin è un celebre direttore d'orchestra, i Nirvana furono tra i più significativi gruppi rock e la Carmen è quella di Bizet.

In questo caso però il nesso è tutto mio: sto leggendo un libro scritto da Baremboin, poi una biografia dei Nirvana con il loro leader Kurt Gobain, e la memoria mi torna ad una recita della Carmen nell'allestimento dell'arena di Verona. E come d'incanto e scoccata una scintilla. Cosa è più importante della musica: la sua forza travolgente senza stare troppo a stabilire come e quanto ci trascini nel suo vortice? Oppure il quadro che ci restituisce del mondo o della situazione o dell'autore dove la musica è stata concepita? Oppure della musica dobbiamo per forza apprezzarne le simbologie universali e pacificatrici che, secondo alcuni, possiede per definizione?

Barenboin

Il libro di Barenboin, (che non cito perchè Barenboin è uno fra i musicisti più pagati al mondo e non ha bisogno della mia pubblicità) è uno di quei libri che secondo me chiunque abbia un po' di esperienza di vita potrebbe scrivere senza grandi patemi. Ficcar dentro in 150 pagine pensieri sulla musica, la politica e la società non è così difficile se ci si accontenta di volare sulla quota dei luoghi comuni. Da un musicista notevole (perché, sia chiaro, Barenboin è davvero un musicista notevole) ci si aspetta qualcosa di più che tritume su come sia bello vedere musicisti di diverse nazionalità suonare tutti insieme (anche la formazione del Milan è multietnica, e vince pure). E il chiedersi come mai un violoncellista siriano ed uno israeliano possano sedere allo stesso leggio, mentre i capi di governo fatichino a sedere allo stesso tavolo è davvero banale.

Ai capi di governo manca la "partitura" che consenta loro di suonare una "musica comune", ma da qui non si può teorizzare che la musica abbia il potere magico di unire altrimenti ce l'ha pure il pallone, come già detto. E poi, a stare a vedere, la musica nella storia ha spesso disunito.

I Nirvana 

I Nirvana ad esempio, non sono un simbolo di pace bensì di opposizione, di trasgressione oppure, se proprio vogliamo dirla tutta, di anarchia che è esattamente il contrario di uno spirito accomunante.

Nelle prime pagine del libro di Everett True "Nirvana, la vera storia" (questo lo cito) si legge: "Se non sai... saltare addosso a un buttafuori che sta pestando a sangue un tuo fan, interrompere un brano perché la gente lo sta cantando in coro o pasticciare apposta la intro della tua hit fino a renderla del tutto irriconoscibile... allora probabilmente non dovresti salire sul palco. Suona a casa tua davanti la mamma... ma non pretendere di suonare dal vivo in una rock band."

Questo spirito lo trovo molto più aderente alla forza della musica piuttosto che il bucolico dipingere quadretti di pace e bene. La musica ha una forza che non si presta ad una retorica "per bene".
La musica classica poi ha da scrollarsi di dosso un po' di quell'uplomb iperformale maturato tutto nel brodo culturale reazionario di fine ottocento e che poco a che vedere con ciò che la musica, che oggi chiamiamo classica, provocava negli ascoltatori di un tempo. I teatri d'opera erano i luoghi più vivi delle città, dove la musica eccitava scenette piccanti consumate dietro i velluti dei palchi, punteggiava maramaldeggiamenti, discussioni politiche, chiacchiere e diplomazie. La musica faceva tutto questo, non le partiture od i leggii. Perché è proprio questo particolare che sfugge a Barenboin. E' la musica che va alle orecchie quella che conta, anche se essa dovesse avere un ruolo puramente di contorno.

La tentazione di spiegare a parole la forza della musica è sempre forte tanto che poi anche il pubblico se non riesce ad aggrapparsi alle parole crede di non poter capire la musica.

La Carmen

Durante la rappresentazione di Carmen all'Arena di Verona, davanti a me erano sedute due signore che non hanno staccato per un momento gli occhi dal libretto, con tanto di lucina e pure quella di riserva. E quando noi amici dietro abbiamo commentato sghignazzando il vestito da Heidi di una protagonista una delle due signore si è girata scocciata dicendo a denti stretti "insomma...che pppalle", pentendosi subito dopo perché quella voltata di testa le aveva fatto perdere il segno sul librettino, e ho visto la fatica nel ritrovare dove era finita la musica in quel mezzo secondo di distrazione! Se avesse potuto fermare l'orchestra dicendo "momento...ditemi dove siete arrivati" lo avrebbe fatto sicuro.

Eppure Carmen è una delle opere più travolgenti, anche se in francese. Lo è sempre stata, assumendo significati e colori diversi a seconda dei contesti culturali dove prendeva vita. Chi ha visto la Carmencita come "zoccola" della situazione, chi come l'eroina; chi ha voluto Don Josè come il debole uomo succube, chi invece come la vittima perché incapace di dominare un gioco che forse era solo un gioco. Insomma la storia di Carmen è davvero un vortice che sfugge a classificazioni ed analisi definitive. Questo perché c'è la musica che tutte le volte rivela qualche particolare inedito, qualche sottigliezza che prima ci era sfuggita.

Carmen canta su musica gitana, Don Josè alla francese, questa la teoria. Ma perché quando Carmen ed il macho toreador Escamillo si sciolgono nel "Si tu m'aimes"" invece cantano tutti e due su una bellissima e struggente melodia francese? Perché Carmen cede solo con un tipazzo che di certo alla prossima "Plaza de toro" troverà un'altra morettona a cui agitare il suo "capote"? Ecco la forza della musica, che ci da segnali alla mente e sulla pelle, che non riusciamo a spiegare, ma che ci pigliano e basta.

E poi c'è la musica che accompagna la scena finale fra il disperato Don Josè e la bellissima Carmen "Carmen, il est temps encore". Quella melodia, non le parole, non la storia, quelle note si fissano nella testa e rimangono per giorni. Perchè in quella breve musica c'è il centro di tutto. Una melodia forte, piena di quella passione (che per Bizet era vera solo se di colore francese) che Escamillo sa usare per detrezza e mestiere e che Don Josè inquadra soltanto nella disperazione finale. Ecco cosa è mancato a Don Josè: la passione di cui Carmen vive ma che per un motivo o l'altro Don Josè le ha fatto mancare.

Tutto ciò ce lo dice la musica, da sola, senza parole, senza spiegazioni, senza teorie. Le ultime battute,"Ah! Carmen! ma Carmen adorée" sono una sferzata per il quale non è necessario leggere cosa significhi in italiano. Si può anche staccare la testa dal libretto.

Persino le due signore davanti hanno preferito perdere il segno, e un po', come tutti, anche la testa...

Gremus

Gremus
La passione per la Grande Musica,
online dal 2007.