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Competizione o cooperazione

Nonostante truppe di pensatori e teorizzatori del miglior mercato "Ideal", vorrebbero farci credere che da sempre l'uomo vive in competizione con i suoi simili, gli studiosi più studiosi, i sociologi e gli antropologi autentici raccontano una storia completamente diversa. La competizione per l'uomo è assai meno vantaggiosa della cooperazione, e l'evoluzione dell'ominide dai tempi più remoti si è protesa verso la consapevolezza che cooperando si ottiene da se stessi e dagli altri, oltre che per se stessi e per gli altri, molto di più che pensandosi eternamente in gara. C'è uno studio scientifico che ha spazzato ogni dubbio. Due soggetti messi l'uno contro l'altro, senza potersi sfuggire l'un l'altro, comprendono col tempo che solo cooperando possono evitare di autodistruggersi.

Il filosofo seicentesco Hobbes ha fatto della questione uno dei suoi temi prediletti sebbene, per il periodo storico in cui visse, osservava la faccenda da una posizione cinica. Secondo Hobbes l'uomo era guerrafondaio per natura, in perenne competizione col resto del mondo: un lupo affamato attorniato da belve feroci. La scelta della pace era secondo lui adottata solo per sfinimento, quando le forze venivano meno. L'Europa del diciassettesimo secolo non era certo una terra accogliente: fra rivoluzioni, conflitti di religione, crisi economiche devastanti e pestilenze terribili era normale che l'uomo fosse istintivamente portato a vedere il vicino come un "competitor" per la semplice sopravvivenza. Tuttavia ad Hobbes mancava quel pizzico di conoscenza psicologica dell'uomo che invece si è consolidata negli ultimi due secoli. L'atteggiamento conflittuale era un comportamento adattativo ad un ambiente totalmente ostile. Non appena l'uomo ha potuto riflettere a "stomaco pieno" sul suo essere individuo sociale o no, ha scelto per il "sì", e già nel secolo successivo rinacquero una miriade di teorie politico sociali fondate sulla cooperazione, sulla solidarietà, sulla consapevolezza di far parte di una comunità.

Venendo ai nostri giorni i temi hanno assunto termini e connotati diversi ma la matrice è identica. L'idea che ci si debba comportare come lupi in un mondo di belve rimane nella testa di alcuni sostenitori del "libero mercato" , quello libero davvero, senza regole e senza etica. Per questi "lupi" si possono giustificare speculazioni, spregiudicatezza, sfruttamento e furbizia morbosa con l'idea che in un mondo competitivo sia necessario pensare prima di tutto alla propria pancia. Eppure questo mondo, quello in cui viviamo tutti noi, soprattutto per chi come noi ha la fortuna di vivere in paesi dove il benessere rasenta l'opulenza, non è affatto competitivo. Esso oggi è basato, per quanto riguarda le basilari necessità vitali, sulla cooperazione, perché da un paio di secoli tutti gli uomini hanno conquistato la possibilità di far fronte comune alle più grandi necessità cooperando.

Chi invece si sveglia ogni mattina e utilizza il mondo unicamente per trarne vantaggio ad uso proprio, in realtà sfrutta tutto ciò che la struttura sociale cooperante gli offre, ritagliandosi enormi fette di vantaggio sfruttando chi gli sta attorno. Di persone di questo tipo, di realtà, aziende e istituzioni che si comportano come lupi "affamati dell'inutile" se ne incontrano molti. I peggiori sono quelli che nel frattempo si lamentano del mondo e dell'umanità, e quelli che pretendono di insegnare come si vive e come si ottiene il successo.

Tutte le più moderne teorie di management, di marketing, ma anche di semplice relazione vanno verso la totale smentita dello stereotipo della competitività. In un mercato ormai globalizzato, dove addirittura le diverse peculiarità si stanno mescolando in un grande "minestrone universale" solo una pianificazione cooperante può evitare di creare squilibri ed iniquità pesanti. Sia nel macrosistema come nel micro, il nuovo che viene è auspicabile che sia generato da una maggiore consapevolezza sociale, da un ripristino di strutture di rispetto etico profonde, da una convinzione che risultati maggiori possono giungere solo se condivisi.

Dicevo all'inizio che c'è anche una teoria scientifica a favore di chi sostiene la cooperazione. I sociologi da molti anni ragionano sul famoso "dilemma del prigioniero". Due uomini, accusati (e rei) dello stesso delitto sono posti in due stanze separate. A tutti e due viene fatto un interrogatorio finalizzato alla confessione. Ma ci sono alcune regole che vengono comunicate ai prigionieri: se uno accusa l'altro, tradendolo, il traditore viene liberato, e l'altro viene condannato a 12 anni di prigione; se tutti e due si accusano vicendevolmente si beccano ambedue 6 anni. Se invece non si tradiscono e rimangono leali l'un l'altro se la cavano ambedue con 6 mesi.

Molte riflessioni sono state fatte su questo "dilemma" ma qualche anno fa lo studioso Axelrod pensò di utilizzare i computer per fare una simulazione più ampia. La struttura dell'esperimento è complessa, ma in parole povere si può riassumere così: un prigioniero è l'uomo, l'altro è il computer, ed in gioco non c'è una pena ma una vincita. Il computer, nella sua intelligenza cibernetica, a slealtà sceglie di rispondere con slealtà: è il cosidetto "pan per focaccia". Dopo pochi passaggi l'uomo comprende che conviene essere leali. Una vincita condivisa è, alla lunga, assai più redditizia della vincita solitaria.

Un computer, senza supporti morali od etici l'ha capito subito. Per l'uomo ci vuole ancora un pochino….

Gremus

Gremus
La passione per la Grande Musica,
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