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Blacky e il distacco

La fiaba di Blacky è un caleidoscopio capace di restituire molte prospettive. La prima e la più autorevole è quella offerta dall'autrice Alba Marcoli nel saggio "Il bambino nascosto". Ma basta spostare il punto di osservazione per moltiplicare le possibili letture e riflessioni.

Il tema conduttore più evidente è quello del distacco. Non solo quello fra madre e figlio, analizzato dall'autrice, ma anche quello più generale che coinvolge chiunque nel vivere quotidiano: il distacco dalle proprie certezze anche se limitanti; il distacco dal proprio ego che a volte ci è nemico; il distacco dalle abitudini, dalla forma sterile, dai falsi moralismi e dalle sovrastrutture culturali che spesso accettiamo come ineludibili. Infine il distacco dal passato, o da un presente che non vogliamo ammettere sia diverso da come lo pensiamo. Il distacco presuppone sofferenza, non sempre maggiore a ciò che comporterebbe non affrontarlo.

Il dramma di Blacky esiste solo nella sua testa, così come anche quello della madre di Blacky. Ambedue pensano che il nucleo delle proprie angosce siano le circostanze che si ritrovano a vivere. Blacky ha nella madre il suo cruccio, mentre quale sia il problema della madre non lo conosciamo ma lo intuiamo scoprendo che il suo percorso di rinascita parte dalla conoscenza di se stessa.

Il centro della fiaba sta però nel viaggio che Blacky intraprende alla ricerca del Gufo Millenario. L'elaborazione del distacco parte sempre dalla decisione di intraprendere un viaggio, che parte da una situazione di vita, ma la cui meta si svela alla vista solo viaggiando. Non è l'arrivo che spaventa chi teme il distacco, ma la pericolosità del viaggio, la sensazione che i paesaggi che si possano incontrare ci offrano vedute talmente forti da portarci allo spavento.

L'uomo tende per natura a preferire il dolore provocato dal certo al possibile piacere causato dall'incerto. Un ricordo bello, una situazione felice, una compagnia ideale ci portano ad impossessarci di loro, come se fossero nostra proprietà, spingendoci a ritenere la perdita di tutto ciò come la conseguenza dei nostri comportamenti, del nostro modo di essere, dei nostri sbagli. Il certo è dire: "ho perso questo per colpa mia"; l'incerto è invece rappresentato dalle circostanze che ci stanno intorno, oppure, e qui entriamo nel cuore della faccenda, da ciò che in realtà la parte meno conosciuta di noi stessi ha desiderato: distaccarsi da qualcosa che era si bello, ma forse non così tanto.

Il viaggio alla scoperta di noi stessi può rivelarci aspetti della nostra personalità inquietanti, tanto da temerli. Ci conosciamo come siamo abituati a vederci ed a percepirci, sebbene ansie, depressioni e angosce di ogni genere ci sovrastino senza capirne a fondo le ragioni. Entrare nella foresta alla ricerca del Gufo Millenario è metaforicamente il primo passo di un viaggio così impervio. Sarà necessario districarsi tra grovigli di ogni tipo, da trappole mentali, da vegetazioni da incubo e guadi tenebrosi. Il distacco dalla paura di conoscersi è il primo da affrontare, la condizione "sine qua non".

L'uomo deve superare coltri di sovrastrutture culturali per affrontare un viaggio di questo tipo. Se si pensa soltanto a quale efferata punizione sia stata condannata l'umanità intera, nella mistica occidentale, per il semplice gesto di aver voluto assaggiare il frutto dell'albero della conoscenza!!! La sola curiosità è stata sempre vista come sospetta; figuriamoci il sondare se stessi sapendo di poter trovarvi l'ignoto! L'infelicità, il percorrere una vita che privilegi i rimpianti ai rimorsi, è sempre stato considerato quasi un modo onorabile di non soggiacere agli egoismi. Eppure in questa maniera si saziano gli egoismi altrui, dei benpensanti, dei moralisti, di chi vuole attorno a se quadretti catartici di dolore condiviso, in ossequio alla famosa logica del "mal comune mezzo gaudio". Parafrasando una celebre massima - ad un uomo si può perdonare tutto tranne il successo - verrebbe da dire che vedere attorno a se persone che escono dal dolore personale scegliendo di conoscere se stessi, fino in fondo, può spingere a giudizi curiosi e talvolta inaspettati.

Il saper distaccarsi da tutto ciò, dal peso inutile del giudizio altrui, rappresenta il secondo piccolo viatico all'autentica scoperta di noi stessi. Questi viaggi si compiono sempre da soli, e la solitudine, almeno inizialmente può far paura. La decisione di mettersi in viaggio, il districarsi fra mille lacci ed angosce, lo scoprire un mondo meno certo di ciò che ritenevamo, sono tutte esperienze che non possono essere condivise se non con qualcuno che sappia ascoltarci rispettando l'inevitabile sofferenza e contraddittorietà che un viaggio del genere può comportare.

Distaccarsi può significare perciò "conoscere", liberarsi da pregiudizi e preconcetti, lucidare uno specchio che ci restituisce un'immagine di noi talmente offuscata da imbrigliarci in un castello di convinzioni che entrano in perenne conflitto con la nostra più profonda essenza.

Ci vuole coraggio per conoscere; ancora di più per conoscersi!

Gremus

Gremus
La passione per la Grande Musica,
online dal 2007.