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Serenita' per tutti

"Maestro, come fa ad apparire così sereno nonostante i mille impegni che ha, i continui spostamenti intercontinentali, i problemi con le orchestre e gli artisti, lo studio, le registrazioni, il pubblico e le critiche?" domandò l'intervistatrice.
"Non so dire se sono sereno: sono troppo impegnato a vivere!" rispose Leonard Bernstein.

Di tutto ciò che ho letto fino ad oggi è uno di quei dieci o quindici passi che mi sono rimasti impressi nella mente come graffiti su pietra.
Sei sereno se non hai necessità di domandarti se lo sei davvero. Se te lo domandi spesso è segno che qualcosa della tua vita può essere migliorato.

Molte, moltissime persone si esprimono e si comportano come alchimisti in cerca dell'oro che possa dar loro serenità. Alcuni cercano quest'oro nell'universo che li circonda; altri all'interno di se stessi. Ma se a ciascuno di questi si chiedesse di esprimere su di un foglio di carta cosa possa rappresentare davvero la serenità è probabile che i più non riuscirebbero a portare a termine il compito. Non perché non saprebbero esprimere i punti essenziali alla loro serenità, ma perché inizierebbero a ragionare ponderando le immense possibilità che la vita può offrire: sceglierne una invece che un'altra è una delle principali cause di ansia.

Ma la serenità non è vivere un certo tipo di esperienze invece che altre; non è eliminare alcuni fattori negativi costruendosi una cupola protettiva attorno; serenità non è non frequentare alcune persone od affidarsi totalmente ad altri o altro, non è rimanere sospesi in uno stato di quiete o di pace effimera, sensibile ad ogni piccola scossa del vivere.

Serenità è condurre la propria vita con passione; è uno stato d'animo perenne, che fluttua nell'universo ontologicamente sereno, al quale noi partecipiamo se viviamo la nostra esistenza come fa un fiore, un animale (non addomesticato) una roccia e persino un fulmine. Tutto ciò che esiste in natura vive intensamente ogni attimo del suo presente, senza chiedersi se sia sereno o meno.

L'uomo non è dotato di pensiero evoluto per mettere in dubbio l'opportunità di vivere intensamente la vita, bensì per poter sublimare l'esistenza laddove gli altri elementi dell'universo trovano limiti: l'uomo crea, costruisce, si esprime artisticamente, comunica appropriatamente e socializza ad un livello superiore a qualunque altro essere vivente.

La serenità perciò è autentica solo se inconsapevole, se espressione piena di uno "stato di grazia" nell'universo. La serenità e lo stato di grazia di un individuo le si possono talvolta intravvedere da fuori; individuarle dentro se stessi può significare allontanarle.

Ma soprattutto la serenità non la si cerca come elemento fine a se stesso.

Mi viene in mente la celebre storia del tiratore d'arco zen. Finché cercava in tutti i modi di imparare quale fosse il sistema di centrare il bersaglio la freccia ciccava inesorabilmente.
Poi il tiratore si arrese e decise di riprendere la sua vita, ponendo fine a quella sospensione dell'esistenza rivolta alla ricerca dell'impossibile: la tecnica sicura per centrare il bersaglio.
Prima di andarsene però, con già le valigie in mano, volle cimentarsi nel tiro un ultima volta, così, con la mente già immersa nel suo vivere: ecco il centro, perfetto, meraviglioso.

Non si può centrare alcun bersaglio sospendendo la vita, la passione, l'intensità con cui si vive ogni attimo dell'esistenza.
I musicisti, gli esecutori, sanno cosa significhi aspettare quel momento magico, che arriva dopo i primi minuti dell'esecuzione, dove dalla loro mente scompaiono la preoccupazione del pubblico, delle note, delle difficoltà tecniche, dell'insieme eccetera eccetera. E' quel momento dove si raggiunge un grado di fusione con lo strumento e con il brano che si sta eseguendo talmente intenso da diventare un intero corpo vibrante, capace di creare quella musica come se fosse l'unico segno della propria esistenza. Da quel momento il musicista non fa musica: vive la sua vita esprimendosi con una protesi (lo strumento) del suo corpo.

La serenità è diventare parte integrante dell'universo, sentirsi avvolto da esso ed allo stesso tempo completarlo con la propria unicità.

La serenità non c'entra nulla con le fasi negative dell'esistenza, con i suoi problemi e drammi, con il suo alternarsi di luci ed ombre. Se il mondo che sta attorno a noi, appare oscurarsi, è spesso perché non siamo consapevoli della oscillazione continua della vita tra bene e male, tra giusto e sbagliato, tra felicità ed infelicità. La luce che può schiarire l'oscurità che ci attornia è in mano nostra, ma per un motivo o per l'altro ci dimentichiamo di accenderla: preferiamo crogiolarci nelle tenebre andando a cercare la serenità in qualche cantuccio dove filtra un'unica lama di sole.

E crediamo di aver trovato l'oro della serenità; chiamiamo tutti i nostri cari in quell'angoletto, al riparo dal resto dell'universo che continua ad apparirci in ombra e che attende invano la nostra luce.
E' un atteggiamento egoistico assai diffuso, foriero delle più terribili ansie e delle più tragiche esistenze.
Mettersi a cercare la luce della serenità, e magari pure pensare di trovarla è esercizio effimero, come cercare la felicità o la sicurezza: è illusione.

Quando si comincia un processo di ricerca della serenità, essa si allontana sempre più, comincia a girare attorno a noi per forza centrifuga: noi cerchiamo di acchiapparla, di rincorrerla, senza riuscire ad avvicinarla. Ma non appena ci fermiamo e riprendiamo a vivere essa si riavvicina, e più viviamo intensamente e più essa ritorna in noi.

Uno dei connotati principali delle persone serene è la propensione alla socievolezza. Non necessariamente si manifesta nell'incontrare decine di persone al giorno. Basta anche solo essere consapevoli che la propria esistenza genera un valore donabile o scambiabile con gli altri. Scrivere libri, o articoli su giornali o blogs è socievolezza. Decidere di esprimere le proprie opinioni pubblicamente, consci di esporsi a critiche e giudizi, è comunque una generazione di valore, di movimento, di energia. Anche un monaco di clausura che scriva il frutto del suo pensare è socievole e sereno.

Meditare cercando l'oro in se stessi è importante ma illusorio se volto a trovarvi la serenità: è addirittura pericoloso se diventa esercizio preponderante od esclusivo, limitando lo scambio di quello stesso oro. Se ognuno di noi ha un proprio oro interiore, è facile immaginare quanta ricchezza può provenire dal metterlo in comune con altri. Ogni ricchezza ha senso solo se fluttua nell'universo, altrimenti è lucentezza sprecata.

Un altro connotato comune alle persone che sono serene, al di la' di come appaiono, è l'incertezza che spesso li pervade, il dubbio che talvolta li rode, la vita rivolta alla ricerca invece che alla solenne stabilità. Non c'è storia di pensatore, di artista, di saggio che non sia tratteggiata da una sequenza continua di ripensamenti, di sicurezze miste ad insicurezze, di mutamenti, dubbi, revisioni, fasi e travagli. Il loro pensiero, la loro arte è il frutto di questo turbinio di intensità esasperata, del continuo rimescolare il proprio campionario di certezze. La libertà che essi hanno nel sondare tutte le possibilità insite nell'universo non può che provenire da una serenità aprioristica: la convinzione che nella ricerca l'uomo abbia la sua ragione di vita.
Mi viene in mente Federico Fellini, grande artista, uomo di grandi incertezze e di dubbi stravolgenti. Ma tutto ciò trovava espressione nel film, segno finale di ogni travaglio. La sua parabola discendente è cominciata quando gli si è impedito di fare nuovi film e perciò di vivere nuove tempeste interiori. Il non poter cercare, lottare, produrre e comunicare è significato perdere la serenità; e poi la vita.

La serenità consente alle persone di vivere la loro esistenza cercando di comprenderla intensamente, di interpretarla, di chiarirne il senso a se stessi e di riflesso agli altri, di spingere la vita fino ai suoi estremi per donare l'oro della propria esperienza all'umanità.
Penso a quell'uomo, Franz Reichelt, che nel 1912 decise di sperimentare il primo prototipo, da lui stesso studiato, di paracadute, lanciandosi dall'estremità della torre Eiffel. Si sfracellò al suolo facendo un buco di 35 centimetri di profondità. Quel folle esperimento che Reichelt compì con assoluta serenità (impossibile altrimenti) servì a perfezionare il paracadute moderno.

Lo scrittore e studioso orientale Deepak Chopra ha proposto sette piccoli consigli per provare a vivere intensamente la propria esistenza. Io li consulto spesso.

1)- Vivete la vostra vera natura, senza paura, senza temere il giudizio altrui. Ovviamente astenetevi dal giudicare (per alcune persone giudicare è un morbo inguaribile).

2)- Fate circolate la vostra ricchezza, donando e scambiando. Dare agli altri ciò che si desidera ottenere dagli altri. Non imporre nulla a nessuno, soprattutto ai propri figli.

3)- Vivete intensamente il presente

4)- Accettate il presente come esso è non come decidiamo di interpretarlo (su questo punto tornerò altrove)

5)- Vivete di intenzioni, mantenendo però intensamente l'attenzione sul presente e non sul risultato

6)- Vivete con intensità ma con distacco. Sembra una contraddizione ma è la medicina contro le delusione che comunque arrivano. Essere distaccati significa aprirsi alle molte possibilità, al dubbio, alle incertezze. L'incertezza è il terreno fertile della creatività e delle libertà.

7)- Siate consapevoli che ognuno di noi ha uno scopo nella vita, unico ed inimitabile. E' nostro compito individuarlo mettendo il frutto della nostra unicità a disposizione dell'universo.

La serenità fluisce come gli alisei.

Basta alzare le vele e lasciarci condurre!

Gremus

Gremus
La passione per la Grande Musica,
online dal 2007.